Ceramista dalla spiccata vena artistica, Paola Paronetto inizia giovanissima la sua formazione per poi consolidare una tecnica vincente che porterà i suoi lavori ad essere riconosciuti a livello internazionale. Dal 2000 si dedica al paper clay, un impasto composto da carta e argilla diventato ben presto la base materica della sua cifra stilistica, nonché delle sue realizzazioni più iconiche – prima fra tutte la collezione degli scultorei “Cartocci” – che prendono vita in un suggestivo laboratorio immerso nel verde nel circondario di Pordenone.
Una mente creativa a metà tra arte e design, la cui ricerca non sembra arrestarsi, aprendosi anzi a sempre nuove opportunità e collaborazioni d’impronta multidisciplinare.
Paola, quando e come è nato il suo interesse per la ceramica e per la lavorazione artigianale?
Avevo diciotto anni quando mi sono iscritta ad un corso di ceramica sull’uso del tornio. È cominciato così il mio amore appassionato per l’argilla. La mia ricerca personale è continuata poi tra Umbria e Toscana, per approfondire la conoscenza sui materiali ceramici e sulle tecniche tradizionali di costruzione delle forme.
Fondamentale fu per me conoscere “La Meridiana” di Pietro Elia Maddalena, una prestigiosa scuola internazionale a Certaldo, piccolo paese in provincia di Firenze dove Maddalena invitava ceramisti internazionali. Ma la vera rivelazione fu l’incontro con Giovanni Cimatti, che è stato per me il maestro più stimolante. Ho continuato a seguirlo per il suo straordinario entusiasmo, assolutamente contagioso.
Sperimentando poi quanto appreso, da sola nel mio laboratorio, diedi vita alla mia prima vera collezione di vasi con forme naturali e rotondeggianti che chiamai “Congo”, fatti al tornio con argilla di Sansepolcro, rivestiti di ingobbi e di terra sigillata. Con questo bagaglio di forme e colori ho iniziato a partecipare a svariate mostre, mercatini, fiere, sempre con grande soddisfazione.
Successivamente ha scelto di concentrarsi sul paper clay. Perché questa decisione e quali sfide tecniche ha dovuto affrontare?
Sentivo il bisogno di affrontare nuove sfide e presentare qualcosa di molto personale a livello internazionale, soprattutto a Parigi. In un momento di crisi mondiale mi sentivo spinta dal desiderio di dare il mio contributo per rispondere alla richiesta generale di novità. Volevo lavorare la ceramica in modo meno restrittivo esprimendomi più liberamente e l’impasto della paper clay mi sembrava ideale. Ho sperimentato molto, attraversando non poche difficoltà tecniche e personali, fino a dare vita alle mie “famiglie di Bottiglie” e via via creando con questa tecnica forme sempre più grandi, morbide e in movimento. Diedi vita nel tempo a molte altre collezioni che immaginavo fortemente collegate alla natura, con il suo dinamismo e la sua forza.
Da ciascuna creazione traspaiono infatti chiari riferimenti agli elementi naturali. La natura ricopre quindi un ruolo chiave nel suo processo creativo…
Alla base di tutto c’è una predisposizione all’ascolto e all’osservazione di ciò che mi circonda. Il mio laboratorio, ad esempio, è immerso nella natura, che con le sue suggestioni e i suoi ritmi imprime una profonda eco sui miei lavori.
A proposito di questo laboratorio/atelier, potremmo considerarlo la sua seconda casa?
Il mio atelier è in un certo senso la mia vera casa. Le due realtà più o meno coincidono da sempre, e si sono sviluppate nel tempo in modo funzionale. Non riesco a immaginarmi lontana dalla natura, non necessariamente quella in cui mi trovo ora. Penso che potrei benissimo vivere immersa in altri suggestivi paesaggi italiani.
Tutti i suoi oggetti, a metà tra design e arte, sono accomunati da tratti irregolari e dinamici, cromie accoglienti e rilassanti. Quale la filosofia alla base?
Vorrei trasmettere a chi li guarda una sensazione di pace, di calma e serenità. Come in un mondo incantato e sospeso dove affiorano riflessioni leggere ed emozioni positive.
Da “Ranuncoli” a “Le Signorine” passando per le intriganti “Safa” e “Reflections”, quest’ultima sviluppata in collaborazione con Giovanni Botticelli: cosa caratterizza maggiormente le nuove collezioni presentate in anteprima a Parigi? A che punto della sua ricerca stilistica e materica si collocano?
Le nuove collezioni rispondono all’esigenza di rappresentare il mio immaginario di forme e colori sempre interpretando e lasciandomi contaminare dagli innumerevoli stimoli esterni: in questo senso la collaborazione con un giovane designer molto preparato come Giovanni Botticelli è stata per me una fonte di grande ispirazione. Grazie al suo lavoro su vetri e specchi ho potuto immaginare una nuova destinazione dei miei Ring e delle mie Ninfee che ora sono anche sculture da parete nella duplice funzione di specchi e lampade.
Ogni complemento, seppur replicabile, è fatto a mano, dunque mai identico ai precedenti. Le capita però di realizzare anche “pezzi unici” su misura e personalizzazioni per specifici progetti?
Sì, nel corso della mia attività ho creato, e ancora lo faccio, pezzi in limited edition. Ho un rapporto molto personale e diretto con i miei clienti – sia privati che retailers – che talvolta mi danno suggerimenti sulle composizioni dei pezzi e sull’accostamento dei colori. Questo ci permette di raggiungere una perfetta armonia tra il mio immaginario e il loro personale modo di vivere gli spazi.
Alla luce di un percorso costellato di consensi, c’è un insegnamento di cui fa tesoro? Il consenso è il risultato di tanto duro lavoro e di un profondo e sincero impegno. Penso che ogni artista, una volta individuata la sua strada, debba seguire istintivamente il suo percorso alla ricerca di sè stesso, processo questo, per sua natura inarrestabile.
Ci racconta un sogno nel cassetto e un progetto che vorrebbe realizzare in futuro?
Molti sono i progetti che mai avrei pensato di realizzare ma che stanno diventando realtà. Penso, ad esempio, alla prestigiosa collaborazione con Veuve Clicquot che ha appena preso il via. Ora seguo il flusso creativo cercando di portare la mia cifra stilistica anche oltre il tradizionale ambito della ceramica.
E un posto nel mondo che la affascina?
Mi affascinano i posti che non ho ancora visitato, quelli che affiorano nei miei sogni come Il Cretto di Burri dove spero di poter passeggiare presto, magari con tempi dilatati e sospesi.
ph. Studio Auber