Gli arredi modulari di marco ripa vestono Ca’ Romanino

Marco Ripa a Ca’ Romanino

Mimetizzata tra le colline di Urbino, l’architettura domestica “sospesa nell’aria” di Ca’ Romanino, progettata da Giancarlo De Carlo per l’amico e filosofo Livio Sichirollo e Sonia Marra nel 1968, è sfondo d’eccezione per la creatività del designer Marco Ripa, che vi ambienta le nuove collezioni d’arredo in metallo.

Marco Ripa a Ca’ Romanino

“Siamo entrati in punta di piedi” racconta il maker marchigiano, in questa architettura costruita sulle forme del cubo e del quadrato, addolcite da elementi curvi, ambienti circolari e gesti morbidi. Caratteristiche che afferiscono anche alla nuova serie Coimbra, il cui design combina le due figure del quadrato e dell’arco di circonferenza per creare arredi modulari da posizionare a piacere, e che trova la sua ispirazione nell’immaginario fisico ed emotivo del salotto di una volta. Lo stesso spirito da cui è nata Ca’ Romanino, che l’omonima Fondazione, dal 2013, è impegnata a preservare e promuovere.

Marco Ripa a Ca’ Romanino
Marco Ripa a Ca’ Romanino

Oggi come ieri l’abitazione si staglia nel paesaggio come un battello che fluttua tra gli alberi delle colline marchigiane con un curioso comignolo rosso a fare da bussola. Appare come un originale castello di mattoni, vetro e cemento che ha sostituito ogni difesa con il sentimento dell’ospitalità; un rifugio estroverso popolato di porte color blu di Prussia e di lucernari che puntano al cielo. Uno spazio che, come diceva De Carlo, è riuscito a trasformarsi in un ‘luogo’.

Marco Ripa a Ca’ Romanino
Marco Ripa a Ca’ Romanino
Marco Ripa a Ca’ Romanino

Ca’ Romanino: l’architettura di Giancarlo De Carlo a Urbino

La storia di Ca’ Romanino è costruita intorno ai legami che si intrecciano con la vita di Urbino nel periodo in cui Carlo Bo, rettore per oltre cinquant’anni dell’Università, invita l’amico De Carlo (era il 1954) per tentare di rinnovare gli spazi universitari e fare della città ducale una città contemporanea di studi e di cultura. Pochi anni dopo, Livio Sichirollo e Sonia Morra, entrambi docenti a Urbino, affidano la costruzione della propria casa all’architetto genovese.

Della vecchia casa contadina sul colle rimane solo la cantina, cavità testimone di chi ha abitato il luogo. Il genius loci, l’origine, diventa il sostegno su cui poggia la nuova struttura. L’ingresso è uno stretto passaggio tra muri di calcestruzzo e la sponda erbosa di un quadrato di verde. Questo, e alcuni alberi inglobati nell’architettura, inibiscono volutamente la vista del paesaggio, perché questo torni a dominare l’interno a partire dalle grandi vetrate del soggiorno, in una compenetrazione singolare tra architettura e natura.

L’intricata articolazione degli spazi, le ampie finestre delle stanze, i lucernari sui letti, il camminamento che permette di raggiungere l’ampio prato di gramigna costruito con i detriti della casa contadina, tutto è in dialogo con la natura: tra piani sfalsati, scale nascoste e piani raddoppiati, salite e discese, fenditure nei muri si rischia quasi di perdere l’orientamento, mentre il paesaggio si offre ovunque si decida di stare. Il fulcro della casa, l’elemento che De Carlo ha pensato per creare una sorta di calore architettonico, sfida l’idea del sacro focolare: è la presenza di un cilindro sovradimensionato, non ornamentale ma indispensabile fonte di calore, un camino rosso che attraversa il soggiorno a doppia altezza e che congiunge la ‘piazza’ degli incontri alla parte alta dedicata alle cene e alla rotonda dello studio. Anche quest’ultima è racchiusa da un segno curvo, gesto semplice e quasi impercettibile, ma capace di isolarla (e metterla al contempo in comunicazione) dal resto del mondo.

ph. Marco Biancucci e Giulia Papetti

Direzione artistica e styling: Roberto Cicchinè