Cesare Leonardi e l’architettura della vita

Cesare Leonardi

Articolare uno scritto su Cesare Leonardi impone una premessa fondamentale: la misura del testo non può contenere quella di un pensiero così vasto e profondo; si tratta di un limite che vale la pena accettare nel proposito d’introdurre chi legge ad un lavoro così prezioso, denso e radicale. Per un orientamento accurato e sistematico all’opera e alla ricerca di Leonardi si rimanda al bel volume L’Architettura della Vita, edito da Lazy Dog nel 2017 in occasione della mostra presso la Galleria Civica di Modena, curato da Andrea Cavani e Giulio Orsini, cofondatori dell’Archivio Architetto Cesare Leonardi.

Nel 1982 Cesare Leonardi e Franca Stagi pubblicano il volume L’architettura degli alberi: l’opera fa seguito all’omonima mostra, allestita nello stesso anno a Reggio Emilia e a Modena. Il libro raccoglie un lavoro monumentale, scaturito vent’anni prima, quando i due architetti sono ancora studenti. L’amore per le forme della natura, che supera quello per le forme dell’architettura, spinge Cesare Leonardi a cimentarsi – in occasione del suo studio di tesi – con la progettazione per un parco urbano a Modena.

In questa circostanza gli alberi, elementi centrali di un parco, richiedono di essere conosciuti come tali, e tuttavia le ricerche di una letteratura utile in questa direzione risultano insoddisfacenti. A fronte di un gran numero di pubblicazioni a carattere botanico, non corrispondono campionari contenenti le informazioni necessarie alla progettazione di un parco: gli alberi possono infatti tracciare percorsi e scolpire scenari in ragione del loro portamento, dei loro colori e delle ombre che proiettano. Dinanzi all’assenza di uno strumento che contenga queste informazioni, Cesare Leonardi e Franca Stagi iniziano a costruirlo, iniziando una serie di esplorazioni che toccano Firenze, Modena e l’Appennino modenese.

In principio questo censimento consiste nel fotografare esemplari interessanti, scegliendo quelli non sottoposti a opere di potatura, che ne muterebbero il portamento caratteristico, e nel postillare le immagini di note riportanti le misure. Di seguito i fotogrammi vengono tradotti in disegni che quasi mai ne sono un ricalco fedele, bensì un’interpretazione che permetta di isolare l’albero dal paesaggio circostante e di identificarne i tratti distintivi.

Cesare Leonardi e Franca Stagi appartengono ad una generazione di architetti per i quali la disciplina sovrasta le specializzazioni, cosicché il loro studio, alimentato da un profondo desiderio di conoscenza, prosegue e trascende il cimento iniziale, impegnandoli per due decenni, estendendosi dapprima a tutta l’Italia, ed infine superando i confini nazionali. Cresce intorno a loro un gruppo di collaboratori che lavorerà ad immagini provenienti da tutta l’Europa e dalla Mesoamerica. Il risultato finale comprenderà, oltre alle 374 tavole, i disegni dei particolari e le schede descrittive di ogni singola specie, nonché un’ulteriore serie di schede che mostrano lo studio delle ombre nell’arco della giornata e al variare delle stagioni, ed infine le stesse ombre prodotte da alberi di dimensione crescente, la loro sovrapposizione in relazione alla distanza tra un albero e l’altro.

Cesare Leonardi

Congiuntamente a quest’opera eroica, il sodalizio Leonardi-Stagi produce una serie densissima di ricerche e realizzazioni che vanno dal design, celebri le sedute Nastro e Dondolo, alla progettazione di opere pubbliche. Dal 1972 al 1981 il loro studio è impegnato nella progettazione di Parco Amendola a Modena: la realizzazione dello stesso ricomprende molte delle idee che Leonardi aveva presentato nel suo studio di tesi, peraltro vincitore del Concorso nazionale indetto dal Comune di Modena nel 1969 per un parco intitolato alla Resistenza.

Nel progetto di Parco Amendola traspare anche l’applicazione degli studi raccolti ne L’architettura degli alberi, evidente è la centralità della presenza degli alberi e della loro disposizione, così come la scelta accurata delle essenze arboree, sceverate e collocate in ragione della loro forma, dei colori, delle dimensioni e delle ombre proiettate nell’arco della giornata. Ciononostante, i due architetti, interrogati sul progetto, non mancano di mostrare una polemica perplessità rispetto al fatto che i parchi finiscono spesso col rispondere alle necessità di molti soggetti quali i residenti, gli amministratori e i comitati cittadini; e tuttavia proprio gli alberi – che dovrebbero essere i protagonisti – passano in subordine e vengono ridotti a contorno di attrezzature, giochi e viali; la loro disposizione è inoltre troppo soggetta all’arbitrio del progettista e all’inadempienza delle imprese incaricate che non mancano di tradire il progetto esecutivo.

L’architetto modenese Cesare Leonardi, che viene sciogliendo il suo sodalizio con Franca Stagi, rinnova quindi la sua ricerca nel proposito di sovvertire il discorso generale della progettazione, restituendo agli alberi la propria condizione prioritaria. La necessità di elaborare un principio ordinatore offre la possibilità di cercare inoltre un sistema che risolva il rapporto, spesso critico e finanche conflittuale, tra edificati e alberi.

Spesso questi ultimi pongono problemi, imprevedibili o imprevisti, alle strutture circostanti, invadendo gli spazi aerei e sotterranei, interferendo con cavi, reti e sottosistemi. Leonardi studia così un sistema modulare che chiama Albatros, mutuando una trama impiegata per la mimetizzazione della struttura alare degli aerei da combattimento utilizzati durante la Prima guerra mondiale. La maglia disegnata sulle ali riprendeva infatti forme e colori della natura che potessero confondersi con le superfici sottostanti. Rielaborando queste geometrie, Leonardi disegna una rete composta da ventitré poligoni di forma irregolare, il cui perimetro è costituito da aste mobili congiunte tra loro da nodi. Le superfici dei poligoni rappresentano i territori di competenza destinati ad usi specifici a cui è possibile associare un colore.

Il sistema, in forza della sua conformazione modulare e a-gerarchica, salda l’armonia e le proporzioni ispirate alle forme della natura ad un principio ordinatore che informa la progettazione, prestandosi ad essere potenzialmente esteso all’infinito, e risultando flessibile alle variabili che possono determinarsi in ragione di differenti contesti e del passare del tempo. Ancora una volta la profondità del pensiero di Leonardi supera il quesito iniziale: il modulo Albatros – ribattezzato in seguito Struttura Reticolare Acentrata – sfocia in un sistema che può prestarsi alla progettazione di un parco quanto a quella di una strada, di un centro sportivo o di una città.

Il Parco di Bosco Albergati, nel Comune di Castelfranco Emilia, l’inveramento della Struttura Reticolare Acentrata. Questa “città degli alberi” sviluppa il bosco storico a ridosso della cinquecentesca Villa Albergati, estendendolo di quaranta ettari, dove migliaia di alberi e arbusti di diversissime specie sono stati posti a dimora in tre inverni successivi. Ogni albero è collocato in un nodo della rete e le distanze sono studiate per permettere l’accrescimento spontaneo della chioma, escludendo ogni possibilità di interferenza tra un albero e l’altro.

La disposizione degli alberi risponde dunque ad un principio razionale, che tuttavia non risulta decifrabile se non alla vista aerea: nel parco pensato a partire dagli alberi, dove l’uomo è ospite, il progetto realizza l’ambizione di rassomigliare le proporzioni delle forme naturali – nella consapevolezza di non poterle eguagliare – culminando nella sua stessa scomparsa all’occhio umano.

I Solidi: tra modularità e materia

Cesare Leonardi, appena ventiduenne, flette un foglio di carta immaginando un elemento unico e curvilineo entro cui siano ricompresi, in fluida continuità, tutti gli elementi di una poltrona: seduta, schienale, bracciolo. Nasce così la poltrona Nastro. Un’idea simile ispirerà circa una decina d’anni dopo il Dondolo, che nel 1972 diverrà oggetto simbolo del design italiano alla mostra del MoMa di New York Italy: The New Domestic Landscape. L’architetto che svilupperà i Solidi a partire dal 1983 è lo stesso, ma la sua ricerca lo ha spinto in profondità, conducendolo dalla progettazione di un oggetto a quella di un sistema.

Il pensiero che soggiace ai Solidi è infatti consanguineo a quello della SRA: Leonardi vuole andare alle radici di una progettualità, stabilire delle regole e costruire un linguaggio. Per farlo parte da materiali di facile reperibilità: le tavole in legno d’abete verniciate in giallo e solitamente impiegate come casseformi per il calcestruzzo. Entro un perimetro che è quasi sempre lo stesso vengono individuati gli elementi che comporranno il solido, senza scarto di materiale. A partire da un limite apparentemente angusto Leonardi disegna e realizza oltre trecento combinazioni, a loro volta componibili in ulteriori varianti che possono scaturire da una diversa configurazione del montaggio dei pezzi.

L’attenzione per il processo è rinvenibile nel volume Cesare Leonardi, Solidi/Solids 1983-1993, curato da Giancarlo Martinelli, che ne ricostruisce ogni fase: dalle bozze di studio al Solido completato e fotografato da ogni angolazione. Leonardi lavora per sé, pensa l’ambiente, la socialità e finanche la vita per forme. La ricerca, apparentemente costretta in un recinto autoimposto, invero si svolge e si rinnova libera da condizionamenti dettati dal mercato e dalle mode.

Questa è l’idea guida dei progetti, sempre uguale a sé stessa eppure sempre nuova, al punto che mi ritrovo immancabilmente a sfidare il foglio bianco e la tavola gialla. Per chi o che cosa ricomincia l’avventura? Un certo gusto per qualcosa di alieno, il semplice piacere della scoperta del nuovo, il fascino dell’imprevedibile, il piacere di costruire con pochi mezzi qualcosa che appare impossibile”.

photo courtesy Archivio Architetto Cesare Leonardi