
Svincolata dal mero esercizio progettuale, l’architettura come racconto di pieni e vuoti, di tracce e memorie sedimentate nei luoghi è il fil rouge che lega due mostre, a tratti complementari, in scena dal 20 febbraio fino al prossimo 29 marzo nella Galleria Antonio Colombo di Milano, entrambe a cura di Ivan Quaroni.
Anamnesi di Arduino Cantàfora e Densamente Spopolato di Silvia Negrini offrono due letture differenti dello spazio e della sua rappresentazione, proponendo un dialogo tra un approccio che affonda nella memoria e uno che si nutre di sottrazione e geometria. Se Cantàfora recupera la tradizione pittorica per trasformarla in un racconto architettonico del passato e del presente, Negrini dissolve la narrazione per arrivare all’essenza spaziale. Due mostre che si incontrano nello stesso luogo e nello stesso momento, rivelando come l’architettura – sia essa pittorica o reale – possa farsi racconto di ciò che resta e ciò che manca.
Anamnesi, Arduino Cantàfora

Anamnesi segna il ritorno di Arduino Cantàfora con una selezione di opere che esplorano il rapporto tra memoria, disegno e architettura. Il titolo della mostra richiama il concetto di reminiscenza: «Per me, la memoria è anche anamnesi, un ricordare che cura», afferma l’artista, sottolineando il ruolo del disegno come strumento di comprensione della realtà.

L’esposizione comprende due lavori storici di grande formato, La città banale (1980) e Stanza di Città – Roma (1983), già presentati alla Biennale di Venezia, accanto a una serie di opere più recenti (2020-2025) che ritraggono interni domestici, ingressi di edifici e angoli di città. Ogni dipinto è permeato da una meticolosa attenzione ai dettagli e da un senso sospeso di attesa, dove la luce e la composizione evocano atmosfere vicine alla Metafisica e al Rinascimento italiano. Cantàfora, allievo e collaboratore di Aldo Rossi, ha sempre lavorato sull’intersezione tra pittura e architettura. Formatasi nel solco della tradizione lombarda, la sua ricerca fonde influenze che spaziano dal Caravaggismo al Purismo, dal Divisionismo alla Metafisica, dando vita a una rappresentazione dello spazio che è al tempo stesso razionale e poetica.

Nato a Milano nel 1945, Cantàfora si avvicina fin da giovane al disegno come strumento privilegiato di esplorazione delle forme. Durante gli studi di architettura al Politecnico di Milano, perfeziona la rappresentazione pittorica dell’architettura della città storica. Le sue interpretazioni sono tutte giocate su ombre e luci, in un’ispirazione fedelmente caravaggesca. Le competenze che matura in questi anni gli saranno preziose durante la collaborazione con l’architetto Aldo Rossi (1973-1978), ma influenzeranno anche la sua futura produzione, dominata dalla traduzione dell’architettura in pittura.

Nel 1973, Cantàfora espone alla Triennale di Milano “La Città analoga”, attualmente di proprietà del Museo del Novecento del capoluogo lombardo. Questo dipinto di grandi dimensioni diventa il manifesto de La Tendenza, un movimento architettonico che reintegra elementi del razionalismo europeo del XX secolo ponendo la storia dei luoghi al centro del progetto. La Tendenza sarà oggetto di una retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi nel 2012. Cantàfora partecipa di nuovo alla Triennale di Milano nel 1981 e 1988. A Venezia, alla Biennale di Architettura, nel 1978 e 1980 e nel 1984 alla Biennale d’Arte. Tra il 1985 e il 1986 è a Berlino, su invito del Deutscher Akademischer Austauschdienst (DAAD). La città gli ispira una serie di dipinti che saranno esposti al museo Martin-Gropius-Bau proprio a Berlino. Le due grandi tele, “Das andere Berlin, 1984” saranno acquisite, nel 2006, dal Museo Nazionale d’Arte Moderna (MNAM) al Centre Georges Pompidou di Parigi. I due dipinti sono parte delle 89 opere di Cantàfora in possesso del museo parigino.

Nel corso degli anni ’90, il pittore concepisce diverse scenografie per la Scala di Milano e per altri prestigiosi palcoscenici come quello del Festival di Aix en Provence. Il suo lavoro di scenografo gli vale il secondo posto al Premio Ubu, il più importante riconoscimento teatrale italiano. Tra il 2022 e il 2023, è invitato a due importanti mostre pubbliche: “Architectures impossibles” al Musée des Beaux-arts di Nancy e “Un tiempo propio” al Centre Pompidou di Malaga, dove sono esposte due grandi tele berlinesi della collezione del Centro Pompidou di Parigi.

Arduino Cantàfora è stato professore di architettura all’Università di Venezia (IUAV) dal 1982 al 1986, all’Accademia di Architettura di Mendrisio (AAM) dal 1998 al 2011 e “visiting professor” alla Yale University nel 1988. Nel 1989 è stato nominato professore ordinario presso l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), dove ha diretto la cattedra di espressione visiva. Dal 2011 è professore onorario all’EPFL. È autore di diverse pubblicazioni sull’architettura e sulla didattica, oltre che di un romanzo autobiografico e di racconti pubblicati da Einaudi. Fin da 2016 collabora con la galleria di Antonio Colombo, a Milano, dove ha esposto nella mostra “Case Cose Città”, con Alessandro Mendini, e nella mostra “In the Garden of Eden. A landscape of things with Alessandro Mendini and friends”.
Densamente Spopolato, Silvia Negrini

Parallelamente, nella Magic Bus Project Room della galleria, Densamente Spopolato trasforma lo spazio in un luogo rarefatto, immobile, geometrico.
La pittura di Negrini, pur essendo essenziale e sintetica, non si abbandona mai completamente all’astrazione, arrestando la sua ricerca figurativa al confine con la pura astrazione. Nonostante la raffinata economia espressiva, i soggetti delle sue opere – perlopiù paesaggi, interni o oggetti disposti con precisione in ambienti rigorosamente ordinati – restano riconoscibili, ma privi di qualsiasi coinvolgimento emotivo o suggestione sentimentale da parte dell’artista.

Sebbene la sua rappresentazione sfiori i limiti dell’astrazione, Negrini rimane ancorata a un linguaggio analogico, raffigurando elementi concreti che vengono poi ridotti e sintetizzati in strutture geometriche regolari, distribuite con rigorosa logica sulle superfici pittoriche.

Nella sua opera, è il linguaggio stesso a determinare l’immagine, incanalandola entro una grammatica visiva dominata da simmetria e prospettiva. Questo approccio formalista si traduce in un’essenzialità di segni e forme, in cui i soggetti si dissolvono in poligoni e composizioni schematiche, nel tentativo di restituire l’essenza invariabile e atemporale della realtà. Proprio per questa ragione, i suoi dipinti sono spogli di presenza umana: la dimensione fenomenica si trasforma in un ambiente immobile e sospeso, un luogo che potremmo definire densamente spopolato.

Silvia Negrini, nata a Sondrio nel 1982 e formatasi all’Accademia di Brera, ha sviluppato negli anni una ricerca pittorica che indaga la relazione tra spazio e tempo, tra costruzione e sottrazione. I suoi lavori evocano fondali immobili, in attesa di un evento appena accaduto o di una presenza che non arriva mai. Tra le sue recenti esposizioni si ricordano VIR, Via Farini in Residence (2022), E solo Silvia Negrini a Bergamo e Muri d’artista per la Cittadella degli Archivi del Comune di Milano.

photo courtesy artisti e Galleria Antonio Colombo