Che si tratti di gite di prossimità nei dintorni della sua città natale, Modena – meglio definite “avventure minime” -, o di itinerari nelle mete più frequentate, il viaggio nelle sue composite forme e concezioni è stato per Luigi Ghirri fonte d’ispirazione privilegiata fin dai suoi primi progetti, all’inizio degli anni Settanta. L’idea stessa di viaggio è stata indagata attraverso fotografie di mappe, atlanti, pubblicità per il turismo e cartoline, nonché di vacanzieri che ammirano il panorama.
Una vera musa che, nella sua veste ora reale ora immaginaria, a poco più di trent’anni dalla prematura scomparsa del grande fotografo modenese, ispira oggi anche la rassegna al Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano, dedicata al suo estro e ai suoi scatti, capaci di suscitare una riflessione sulla fotografia come medium che inquadra e condiziona l’esperienza di un luogo.
Dall’8 settembre al prossimo 26 gennaio, circa 140 fotografie a colori, per lo più stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta provenienti principalmente dagli Eredi di Luigi Ghirri e dalla collezione dello CSAC di Parma, forgeranno dunque un excursus a cura di James Lingwood sull’opera delicata, poetica e al contempo giocosa di uno dei pionieri pensatori della fotografia moderna.
La mostra “Luigi Ghirri. Viaggi”
Il percorso espositivo al MASI si svolge attraverso un allestimento tematico fluido, in cui il pubblico è invitato a stabilire liberamente pause, collegamenti e connessioni tra pensieri e immagini. È una scelta, questa, in cui risuona l’approccio di Ghirri verso un’opera fotografica concepita come viaggio che continua oltre la singola fotografia e richiede il ruolo critico e l’interpretazione di chi la osserva. Terminata la visita, l’invito è quindi a percorrere l’itinerario della mostra anche a ritroso, ubbidendo a quelli che Ghirri definiva gli “strani grovigli del vedere”.
Fin nelle fotografie scattate nei primi brevi viaggi all’inizio degli anni Settanta nelle città dell’Emilia-Romagna in Italia settentrionale o in Svizzera, Luigi Ghirri è attratto da immagini “trovate” nell’ambiente quotidiano, come manifesti e cartoline.
Una selezione di questi “Paesaggi di cartone” apre il percorso della mostra al MASI dimostrando come dei cartelloni pubblicitari possano trasportare un’esotica cascata tra le montagne svizzere o un panorama alpino a Reggio Emilia o, ancora, un mare scintillante a Modena. Con la loro asciutta presenza, questi paesaggi effimeri raccontano l’ubiquità dell’immagine fotografica negli spazi odierni: “La realtà in larga misura si va trasformando sempre più in una colossale fotografia e il fotomontaggio è già avvenuto: è nel mondo reale”, scriveva Luigi Ghirri nel 1979, evidenziando già allora, con un’analisi precorritrice dei tempi odierni, il rischio di uno svuotamento di senso, “una strana forma di depauperazione sensoriale” legata all’iperproduzione di immagini.
Alla profondità di un nitido pensiero critico, Ghirri associava l’attrazione verso i luoghi che esemplificano le complesse relazioni della fotografia con la realtà, come nella serie di fotografie In Scala, realizzate a più riprese (tra il 1977 e il 1978, e nel 1985) nel parco a tema Italia in Miniatura a Viserba (Rimini). La sua fascinazione per le duplicazioni e le moltiplicazioni della realtà trova qui l’ambiente ideale: le Dolomiti, il Grattacielo Pirelli e la Basilica di San Pietro a Roma possono essere visitati in un rapido tour in cui storia e geografia sono fortemente compresse.
In mostra, una selezione di immagini più esplicitamente dedicate al viaggio raffigura persone in vacanza: il panorama a Hergiswil in Svizzera, uno scivolo e una giostra vuoti al Lido di Spina, un ombrellone ad Orbetello, piccoli specchi in cui controllare il proprio aspetto a Marina di Ravenna. Sono, queste, immagini di calma silenziosa, in cui raramente accade qualcosa. La fotografia di una coppia che gioca a tennis sulla spiaggia sarebbe insignificante, se non fosse per la pallina poggiata proprio sulla linea dell’orizzonte, là dove il mare incontra il cielo, a Île-Rousse in Corsica. “Ciò che è decisivo per Ghirri non è un momento nel tempo, ma la sua distillazione” osserva il curatore James Lingwood.
Una sezione intitolata Viaggi in casa comprende la serie Atlante (1973), con dettagli ravvicinati di mappe che Ghirri ha tratto dal suo atlante, “luogo” che per lui descrive tutti i viaggi possibili. A queste immagini si aggiungono quelle di Identikit (1976-1979), un autoritratto privato del fotografo composto da fotografie degli scaffali della sua libreria che mostrano i dorsi dei suoi libri, dischi, mappe, cartoline, ninnoli e souvenir.
Per tutti gli anni Ottanta, Ghirri viaggia in quasi tutta Italia, realizzando diversi servizi per enti turistici e per il Touring Club Italiano. In questo periodo, il passaggio a una macchina fotografica di medio formato porta maggiore profondità e chiarezza e colori più vivaci alle sue fotografie, anche se continua a inquadrare i panorami nello stesso modo tranquillo e misurato. Destinati a un vasto pubblico, questi lavori su commissione combinano le immagini stereotipate del genere divulgativo con altre più insolite e particolari.
Così, ad esempio, all’interno del libro Capri (1983) Ghirri ritorna più volte su un particolare ben noto ai turisti, i celebri Faraglioni. Dalla composizione classica alle vedute in cui le rocce si frammentano in specchi, fino alla loro riproduzione su una mappa dipinta su ceramica, i diversi modi in cui Ghirri fotografa questa immagine turistica simbolica rivelano la sua delicata sovversione del genere.
“Se le fotografie ‘di viaggio’ di Ghirri sembrano talvolta affini alle foto scattate dai turisti, sono tuttavia sempre diverse. Non mira a creare una raccolta di momenti memorabili, né a sottolineare la bellezza o l’importanza di un luogo, ma a costruire un quadro riflessivo di una cultura definita e modellata dalle immagini e dalla loro creazione” conclude Lingwood.